Nel precedente articolo ho parlato del francese Thomas Devaux come di un artista molto vicino alle mie corde sia per i temi trattati che per il forte senso della pittoricità.
Ma c’è un altro fotografo al quale mi sento legato da un’empatia ancora più forte, per le medesime ragioni di carattere estetico.
Si tratta dell’americano Bear Kirkpatrick, un artista dal nome bizzarro che sgombra immediatamente il campo da qualunque sospetto di banalità.
Nato in Georgia nel 1965 ha lavorato inizialmente nel campo dei mobili e dei gioielli prima di dedicarsi con grande successo alla fotografia. Ho trovato già molto interessante questo percorso di maturazione legato alla manualità artistica attraverso il quale Kirkpatrick ha gettato le basi di una ricerca artistica piuttosto fortunata.
La sua fama, infatti, è diventata planetaria ed è legata a due fantastici cicli di immagini che non mi stanco mai di riguardare.
THE OLD ONES é una serie originale di ritratti in bilico tra pittura e fotografia, in un gioco di rimandi di rara efficacia piuttosto difficile da catalogare.
Partendo da una esplicita impostazione formale in guisa di tela dipinta l’autore vi inserisce dei modelli umani che bucano materialmente il riquadro con il viso irrompendo nella scena.
C’è da dire innanzitutto che la scelta dei modelli è alquanto suggestiva; hanno volti evocativi di una certa ritrattistica d’epoca e ci catapultano immediatamente nella solennità quiescente dei dipinti antichi.
Si rimane spiazzati dall’aria interrogativa di questi individui. Sembrano quasi assolvere con malinconica rassegnazione al proprio compito senza riuscire a dissimulare un certo senso di frustrazione.
Questo è l’incipit della felice intuizione di Bear che di per sé non appare certo rivoluzionario ma costituisce solo lo spunto per la parte più creativa del progetto artistico.
L’artista eccelle, infatti, nel tessere un raffinato lavoro di sovrapposizioni, fondendo i volti con lo sfondo attraverso immagini, dissolvenze, trame elegantissime e assonanze cromatiche.
Il tocco artistico più spiazzante è affidato ad alcuni innesti che, per la loro evidente estraneità, instillano una tensione capace di esaltare l’intensità dolente di quelle espressioni; sembrano interrogarci con lo sguardo, quasi supplicando una nostra partecipazione. Come nel caso del giovane con un raccapricciante collare di insetti brulicanti.
Trovo irresistibile la raffinata delicatezza espressiva di questi ritratti che nella loro impostazione e in alcuni riferimenti estetici ricordano la pittura fiamminga .
Ma c’è un’altra serie di fotografie di Bear che mi entusiasma in modo assoluto anche perché stimola direttamente la mia spiccata propensione per il paesaggio naturale.
HIEROPHANIES prende spunto da un termine utilizzato nella storia delle religioni per designare la “manifestazione del sacro”. La ierofania trascende la realtà percepita del nostro mondo profano rivelandoci la sua dimensione spirituale attraverso le cose animate e inanimate che caratterizzano la nostra esperienza terrena.
Bear Kirkpatrick allestisce delle poetiche ambientazioni naturali popolate da animali e da figure femminili. Queste ultime, con movenze e nudità animalesche, sono il centro focale di ogni scatto.
Bear racconta questo mondo dalle atmosfere ancestrali dove il corpo femminile sprigiona tutta la sua sensuale naturalezza nonostante un contesto artificioso, quasi congelato dalle fredde luci di un reportage naturalistico o di un set cinematografico. Un escamotage che sottrae l’immagine a qualunque sospetto di realismo elevandola più nobilmente ad una forma di narrazione totalmente simbolica.
Sono immagini che mi impressionano per la fisicità selvaggia ed erotica, oltre che per il pathos del messaggio: Uomo e Natura si incontrano in una danza primitiva capace di rivelarci la sacralità del loro dialogo millenario. Bear Kirkpatrick assurge a narratore ieratico di questa splendida celebrazione di cui, volenti o meno, siamo tutti partecipi.
Foto Copyright: Bear Kirkpatrick – bearkirkpatrick.com
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