Lo confesso, non senza un briciolo di vergogna, ho scoperto i grandi autori della fotografia davvero molto tardi rispetto ai tempi in cui ho cominciato a praticarla con dedizione. D’altronde il mio approccio fotografico è sempre stato uno sfogo di carattere emozionale, un gesto contemplativo che mi ha distolto sia dagli approfondimenti tecnici, per i quali ho scarsa pazienza, che dallo studio dei Maestri.
La curiosità verso gli autori è nata per caso e il tramite è stato ancora una volta papà che già mi aveva avvicinato indirettamente alla fotografia utilizzando, con me ancora bambino, una reflex affascinante. Come ho raccontato nel primo articolo di questo Blog, mio papà non era un fotografo, era un insegnante e, soprattutto, un pittore di talento.
Nei primi anni ‘90 aveva avviato uno strepitoso ciclo di quadri acrilici il cui filo conduttore era incentrato sulla figura della mannequin. Per conferire varietà di pose ai soggetti femminili della serie cercava ispirazione tra le foto di moda; selezionava ritagli di pubblicazioni e di tanto in tanto acquistava riviste più specialistiche.
Sbirciando nei cassetti dove ammucchiava questo materiale di studio mi imbattevo spesso in alcuni numeri di due riviste che mi incuriosivano moltissimo: ZOOM e PHOTO. Due testate sempre in prima linea nell’indagare le nuove tendenze e gli artisti emergenti più originali, non solo nel fashion fotografico.
Le copertine facevano scuola ma a colpirmi maggiormente erano i contenuti: una fonte continua e sorprendente di immagini stranissime che mi allargavano gli orizzonti visivi tra sperimentazione e grandi firme del settore.
Un giorno, scovai un enorme calendario pieghevole di Helmut Newton. Rimasi scioccato, non solo per il turbamento provocato dall’erotismo delle sue algide modelle ma anche per la potenza visiva di quelle immagini dove l’imponenza statuaria dei nudi sembrava parlare più all’inconscio che, banalmente, ai sensi.
Ne rimasi affascinato e cominciai, peraltro, anche a divertirmi nell’identificare i rimandi più o meno celati presenti nei quadri di mio papà che, su quel che dipingeva, non era solito dare spiegazioni di alcun tipo. Ma questa nostra comunicazione puramente estetica era stimolante per entrambi dato che ci trovavamo a condividere un carattere molto riservato.
Non fu Newton, però, il mio primo colpo di fulmine per la fotografia d’autore: d’altronde il fashion non è mai stato il mio mondo. L’occasione era solo rimandata, si materializzò poco dopo e con le stesse modalità.
Rovistando tra i cataloghi della libreria di papà feci una nuova, inaspettata scoperta e l’impatto, stavolta, fu devastante: mi capitò per le mani un catalogo del fotografo Franco Fontana: Piscina. Non lo conoscevo ancora, beata ignoranza, ma a quel punto fu come se mi si aprissero le porte della conoscenza.
A conquistarmi non fu solo la carica erotica di quei nudi così pieni di naturalezza, erano, infatti, modelle tutt’altro che professionali (come è noto si trattò di un set di alcuni giorni allestito quasi in famiglia grazie alla collaborazione di amici e conoscenti); a lasciarmi basito fu l’eleganza dei suoi personalissimi tagli compositivi (eh sì, sempre lì vado a sbattere …).
Un lavoro nel quale Fontana si diverte a creare un gioco di vicendevoli seduzioni tra pochissimi elementi: una piscina, nudi dentro e fuori dall’acqua, un tubo di gomma, un trampolino, una palla. Forme, linee, colori e idee in magico equilibrio tra loro come fossero mobiles di Calder.
Ho provato nuovamente il brivido di quella scoperta più di recente, nel 2015 a Roma, quando ho potuto ammirare dal vivo le meravigliose stampe di Piscina nella mostra retrospettiva FULL COLOR nelle sale di Palazzo Incontro.
Naturalmente a partire da Piscina mi sono tuffato a ritroso nella storia, cioè negli strepitosi paesaggi di Fontana che hanno rivoluzionato il nostro gusto estetico. Ogni volta che scatto in strada o in mezzo alla natura cerco di muovermi lungo un filo invisibile, sospeso tra la voglia di emularlo indegnamente e quella di trovare una chiave personale per esprimermi facendo comunque tesoro della sua lezione.
Accade ogni volta che vedo strisce pedonali per terra o tinte monocrome sulle facciate desolate di edifici moderni; o quando rimango estasiato da geometrie occasionali che chiedono solo di essere rielaborate attraverso ritagli creativi e cambi di scala. Per me è l’aspetto più stimolante del guardarsi intorno.
Scoprendo Fontana ho provato una strana sensazione di appagamento, come se avessi percepito nella mia mente la chiusura di un anello, un ricongiungimento di tante sensibilità personali di carattere estetico e culturale, di tante esperienze di studio e lavorative, di percorsi interiori che si sono materializzati nell’opera di un autore in cui mi riconosco totalmente e dal quale non posso prescindere.
Anche per me, d’altronde, “Non esiste quello che vedete, esiste quello che fotografate…”. Se ritraggo un paesaggio non è mai per documentare, tanto meno per raccontarlo. Non sono mai stato un narratore, forse un pittore, devoto al potere della linea più che a quello del colore.
Quando fotografo un paesaggio lo faccio per fermare un’emozione visiva, la mia, e crearne una nuova destinata agli altri attraverso lo scatto: un’immagine inedita costruita con il colore o con le luci che mi vengono offerte e strutturata dalla geometria che impongo all’inquadratura.
Forse è un istinto innato di controllo razionale, sulle emozioni e su ciò che mi circonda da vicino. Guardo il mondo attraverso la geometria perché mi fa stare bene e mi sembra più bello, anche laddove il bello sembra non esserci. Perché il bello non è sempre un dato oggettivo, spesso dipende dal modo in cui guardiamo le cose.
Forse questa è una delle lezioni meno appariscenti ma più importanti di Fontana e la faccio mia ogni giorno.
Ecco, quindi, il motivo per cui ho voluto iniziare questo viaggio sulla “mia” fotografia d’autore proprio da lui. Franco Fontana costituisce l’apice cronologico e artistico della mia trilogia equilatera di ispirazione fotografica, certamente il riferimento più estetico e razionale, quello più vicino alla mia personalità.
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